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“Diventare copywriter” si fa prima a scriverlo che a farlo. Come in ogni mestiere conta più la pratica della teoria, anche se ci sono lezioni tecniche che possono fare la differenza e fare di te un copywriter.

Automotive copywriter

Copywriting al servizio dell’industria automobilistica.

Se cerchi un automotive copywriter, scrivimi a info@lucabartoli.info
oppure utilizza il modulo che trovi nella sezione contattami.

Se invece vuoi leggere cosa ne penso sul tema e/o vedere alcune delle mie campagne automobilistiche, continua pure.

Essere un automotive copywriter secondo me.

Una delle sfide più stimolanti per i copywriter di tutto il mondo è, senza dubbio, l’automotive. Un settore della pubblicità in cui ci sono tante cose da dire e da fare, un “genere” a sé con il suo gusto, la sua estetica e le sue “regole di comunicazione“. Regole spesso non scritte.
Nelle prossime righe, voglio mostrarti – attraverso la mia personalissima esperienza professionale e alcuni lavori estratti dal mio copywriting portfolio – quelle che penso di aver capito sotto forma di pillole.

La mia avventura come automotive copywriter.

Se non te ne frega nulla di questa introduzione biografica o se preferisci leggertela più tardi, salta pure direttamente alle Pillole di automotive.

Le prime due agenzie in cui ho lavorato come copywriter junior mi hanno dato l’opportunità di farmi le ossa su bevande alcoliche e analcoliche, TV a pagamento, distribuzione, assicurazioni, no profit ecc. Purtroppo, nessuna delle due aveva tra i propri clienti case automobilistiche.

Anche per recuperare questa “grave lacuna creativa” al passaggio successivo ho scelto una grande agenzia internazionale, di quelle con l’anagramma dei fondatori nel nome. Purtroppo dopo qualche mese dal mio trionfale (per me) ingresso la mia terza agenzia perse BMW come cliente. Feci giusto in tempo a studiarmi l’archivio delle campagne uscite e a partecipare a una gara (persa).  Mannaggia!
Fortunatamente, dopo un paio d’anni, ebbi la possibilità di fare un’esperienza nella sede romana del gruppo che nel frattempo aveva acquisito come clienti Mercedes e smart. Ne uscirono un paio di annunci e soprattutto l’opportunità di lavorare a contatto con uno dei maestri della pubblicità automotive, noto per essere stato l’unico della sua generazione a diventare ricco con la pubblicità.

Nel successivo passaggio (ormai ero considerato un copywriter senior) direi di aver ampiamente recuperato. Negli anni passati nella mia quarta e ultima agenzia (ora lavoro come copywriter freelance, se te lo stessi chiedendo) compresa la parentesi in un gruppo di lavoro specializzato in automotive, ho avuto la possibilità di lavorare su Volkswagen, SEAT, Audi e persino Lamborghini.

Quanto sto per scrivere è quindi frutto di queste esperienze e delle mie personalissime idee in materia. E non rappresenta in nessun modo il pensiero di chi lavora o ha lavorato nelle suddette agenzie (un po’ di paraculismo legal non fa mai male).

Pillole di automotive advertising e copywriting:

  1. Viva la stampa.
  2. Largo ai copy.
  3. Il posizionamento è tutto.
  4. Ogni modello ha la sua personalità.
  5. Talvolta la pubblicità di una macchina non fa pubblicità a tutta la macchina.
  6. Ogni occasione è valida per comunicare.

Pillola di automotive #1: viva la stampa.

Grazie alla targettizzazione della stampa quotidiana e alla diffusione di riviste specializzate, la pubblicità automotive è una roccaforte della carta stampata (con buona pace di Greta e degli ambientalisti).
In più, alcune di queste riviste offrono formati speciali, come il mitico battente Quattroruote che permette di giocare con un annuncio da scoprire in due passaggi, creando una dialettica tra le pagine.

Nota tecnica: le anteprime degli annunci e delle campagne sono state inserite per permetterti di aprire la pagina relativa in un’altra scheda, semplicemente cliccandoci sopra. In questo modo, puoi vedere bene e leggere l’annuncio o la campagna, senza perdere il filo e senza fare continui avanti e indietro.

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Pillola di automotive #2: largo ai copy.

Sì, l’ho scritto: largo ai copy. Non ho messo il punto esclamativo solo perché, come mi è stato insegnato “Quello che scrive un copywriter deve essere esclamativo di per sé (senza il punto)“. Reminiscenze a parte, nella pratica molto spesso succede che l’art director abbia creativamente le mani legate (scatti dell’auto già fatti da un super fotografo specializzato in automotive e, naturalmente, auto che deve essere bella GRANDE). Questo sposta decisamente il baricentro della creatività (e della libertà) sul copywriter: suo è il compito di trasformare una bella foto (con un’auto bella GRANDE) in un bell’annuncio.
Per me, copywriter dall’ego ingombrante e amante delle copy ad (gli annunci in cui la creatività è costruita intorno al titolo) è sempre stata una figata.

A volte, il titolo accompagna semplicemente la foto. Come nella multisoggetto per il lancio della Nuova SEAT Ibiza e come nell’annuncio “Suv and the City” per Audi Q3 Verve (allestimento studiato e dedicato al pubblico femminile).

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Altre volte il titolo “guida” l’art direction: nelle scelte fotografiche…

pubblicità audi a4 allroad…o nel gioco con gli altri elementi del layout.

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Pillola di automotive #3: il posizionamento è tutto.

L’industria automobilistica è un’ottima palestra per comprendere l’importanza fondamentale del brand positioning: la definizione che rende unico un marchio e lo distingue dai concorrenti.
Questo è evidente fin dal payoff tra le più note vetture premium tedesche:

  • Mercedes. The best or nothing.  (Prestigio)
  • BMW. Freude am Fahren. (Piacere di guida)
  • Audi. All’avanguardia nella tecnica. (Tecnologia)

Operativamente e creativamente – come mi è stato insegnato – questo significa “Se lo può dire anche un concorrente, non è il messaggio corretto“. E, da questo punto di vista, devo ammettere che lavorare per alcuni anni con la casa dei quattro anelli sia stata, per me, proprio una fortuna.

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Questa dedizione al posizionamento crea dei toni di voce immediatamente riconoscibili da mantenere anche quando si affrontano temi “laterali”, come il primo milione di fan su Facebook.

pubblicità audi italiaNaturalmente, il posizionamento guida e deve guidare anche le scelte media. Quindi, certe iniziative sono possibili solo per chi ha un brand positioning che lo permette.
Nessuno dei 3 marchi premium sopra citati, ad esempio, avrebbe potuto fare ciò che con SEAT ho potuto fare su Tinder per Ibiza o davanti al dito di Cattelan (al secolo L.O.V.E.) quindi di fronte al Palazzo della Borsa Italiana per Arona.pubblicità su tinder

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Pillola di automotive #4: ogni modello ha la sua personalità. O almeno potrebbe avercela.

Se possiamo parlare di posizionamento (di marca) che distingue una casa dall’altra, all’interno di ogni segmento (A, B, C, D, E, J, M, S e relativi sottosegmenti) a far emergere un modello (rispetto alla concorrenza) c’è la sua personalità. Talvolta questa è perfettamente in linea con il brand positioning.

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Altre volte – pur rispettando perfettamente il posizionamento generale di marca – la personalità dell’auto mostra dei tratti distintivi.

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Pillola di automotive #5: talvolta la pubblicità di una macchina non fa pubblicità a tutta la macchina.

Spesso, a essere oggetto di un annuncio (e talvolta di una intera campagna) sono singole caratteristiche.

Pubblicitariamente di tratta di una USP (unique selling proposition – principio secondo cui una campagna pubblicitaria deve proporre un solo beneficio per il consumatore; questo deve esser tale che la concorrenza non possa offrirlo; il beneficio deve essere così vantaggioso da poter spingere milioni di consumatori all’acquisto).
Retoricamente, si tratta di una sineddoche, ovvero “la parte per il tutto“, quindi ancora una volta i pubblicitari non si sono inventati nulla.
Il messaggio, a grandi linee, è “Solo per questo vale  la pena di acquistarla. (Immagina tutto il resto)“.

A volte, si tratta di caratteristiche fondamentali, come il sistema quattro di Audi, la trazione integrale per eccellenza.

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O la principale feature che caratterizza una determinata versione o un certo allestimento.

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Altre volte ci si concentra sulle singole tecnologie a bordo.pubblicità audi connect

copywriter pubblicità VolkswagenOppure su tecnologie di prossima implementazione e di portata rivoluzionaria.

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Pillola di automotive #6: ogni occasione è valida per comunicare.

In lotta per essere top of mind tra i loro potenziali clienti, le case automobilistiche sanno che la battaglia è all’ultimo GRP (unità di misura della pressione pubblicitaria) e che chi si ferma resta fermo (anche nelle vendite). Questo genera un bisogno continuo di novità da annunciare (“sete di sangue fresco” parafrasando quanto sosteneva Niklas Luhmann sul sistema dei media, se proprio vogliamo citare un sociologo del ‘900 e darci improvvisamente un tono). Naturalmente, per quanto ampia sia la gamma di modelli, incluse le versioni speciali, i restyling e i restyling dei restyling, non sempre c’è un un’auto da lanciare o comunque da spingere.
E quindi che si fa?
Le case automobilistiche si sono organizzate per comunicare anche quando non c’è un’auto da comunicare. Questo significa che sulla scrivania di un copywriter e dell’art director suo compagno di avventure, arrivano continuamente richieste (brief) di annunci che hanno come oggetto sponsorizzazioni sportive…

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…o altro genere di eventi.

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pubblicità audi futuroE questo per il momento, direi che è tutto.
Alla prossima pillola.

Ottimizzazione: “automotive copywriter”.

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Claude C. Hopkins

Diventare copywriter: le lezioni di Hopkins.

Perché si fa pubblicità? Peché piace alla gente? Cazzata, la gente cambia canale quando vede la pubblicità. Perché i pubblicitari hanno bisogno di lavorare? Per quanto vero, questa non può essere la spiegazione. La pubblicità si fa per vendere.
Su questo non aveva dubbi Claude C. Hopkins padre, della pubblicità hardselling. Copywriter di successo agli inizi del’900, definito “il più grande creatore di pubblicità che abbia mai praticato quest’arte” dallo stesso David Ogilvy, nel 1923 ha scritto il primo manuale di pubblicità moderna “Scientific Advertising” una sorta di corso di copywriting.


Il padre della “pubblicità moderna”: Claude C. Hopkins.

Con la sua vita, con le sue intuizioni e idee, Hopkins ha letteralmente fondato la pubblicità come la conosciamo oggi. Suo è il merito di aver dimostrato l’efficacia in termini di vendite degli eventi, della formula “soddisfatti o rimborsati”, dei farmacisti, dei campioni omaggio, della bellezza come promessa e di molte altre pratiche e tecniche.

Il potere dei campioni omaggio.

[socialring]Ma andiamo con ordine: dopo la scuola di commercio in Michigan, che definisce “frustrante e inutile”, Hopkins entra come contabile in un’impresa che vende arnesi per pulire i tappeti. Qui ha la sua prima occasione come pubblicitario: le feste natalizie si avvicinano e gli viene in mente di promuovere la sua azienda offrendo in omaggio a ciascun commerciante una spazzola e invitandolo a esporre in negozio il cartello pubblicitario “il re dei regali di Natale“. L’iniziativa ha un ottimo successo e Hopkins inizia così la sua carriera in pubblicità.

IL POTERE DEgli eventi.

Entra ufficialmente come pubblicitario alla Swift, una ditta di conserve di Chicago. Qui, con un’idea, getta i presupposti di quello che poi qualcuno definirà l’event marketing, unconventional, guerrilla ecc. Per l’inaugurazione di un nuovo grande magazzino decide, organizza un evento pubblicizzato come “straordinario”: preparare “la torta più grande del mondo” impiegando il lardo della Swift, al posto del normale burro. L’evento ha una tale risonanza, le cronache parlano di oltre 100.000 visitatori, che sarà poi ripetuto in tour.

IL POTERE DEl camice bianco e del “soddisfatti o rimborsati”.

[socialring]A seguire Hopkins si cimenta con il ritrovato per la tosse del Dottor Shoop, fino ad allora invenduto. Per quello decide di spedire migliaia di campioni omaggio del prodotto, con la formula soddisfatti o rimborsati per chi ordina poi i flaconi normali, e decide di puntare sulla rete dei farmacisti anziché sulla rete di rappresentanti, che fino ad allora aveva avuto l’esclusiva. Tanto per cambiare un successo.

IL POTERE delle reason why.

Hopkins negli anni successivi diventa copywriter di punta della J.L. Stack Advertising Agency, firmando campagne leggendarie come quella della birra Schiltz. In cui la purezza del prodotto, dovuta al filtraggio, è raccontata nei dettagli, descrivendo minuziosamente la preparazione e non semplicemente affermata come facevano i concorrenti (altrettanto puri, naturalmente).

Grazie a queste campagne La Schlitz passa così dalla quinta alla prima posizione di mercato e diviene “la birra che ha reso famosa Milwakee”.

Schlitz Beer Claude Hopkins

[socialring]Sebbene sia il padre della pubblicità hardselling, cioè fortemente orientata alla vendita, Hopkins stilisticamente si differenzia dagli altri copywriter dell’epoca per presentare il prodotto, in maniera apparentemente disinteressata, celebrandone le caratteristiche ma senza fare direttamente appello alla vendita, quindi senza “compra x”.

la comparativa di prodotto.

Nel 1907 vuole ritirarsi, ma Albert Lasker lo convince a entrare in Lord & Thomas. Qui si cimenta per Van Camp’s con i fagioli in scatola, che fino ad allora solo il 6% delle massaie usava. Hopkins decide di usare la pubblicità comparativa, non tra due marche ma tra gli innumerevoli vantaggi dei fagioli già pronti in scatola con gli innumerevoli svantaggi dei fagioli cucinati in casa. L’idea ha enorme successo: anche in questo caso decide di offrire un campione omaggio per permettere di constatare l’effettiva differenza. Inoltre cura la distribuzione del prodotto nei ristoranti, reclamizzandoli a loro volta come “quelli che hanno scelto la Van Camp’s“.

Quando la bellezza diventa un benefit.

[socialring]Successivamente da vita a quella che si rileverà la campagna più efficace di tutta la sua carriera. Per la B. J. Johnson Soap Co. si deve cimentare con un sapone da bucato, il Galvanic Soap. Hopkins, fatte le dovute considerazioni, declina il brief rispondendo che il prodotto non è appetibile e chiede di cimentarsi con un altro. La Johnson, presa in contropiede, propone allora un prodotto minore, il Palmolive, un sapone da bagno composto da olio di palma e olio di oliva che non aveva mai avuto intenzione di reclamizzare. Hopkins decide di puntare su una promessa ad effetto: la bellezza e sul campione omaggio che già si era rivelato molto efficace.

Sempre, puntando sul benefit bellezza, Hopkins da vita alla campagna per il dentifricio Pepsodent. La bellezza promessa è quella dei denti e, per quanto oggi sembra scontato, sappi che fino ad allora le pubblicità dei dentifrici si basavano al massimo sulla paura della carie o faceva leva sul concetto d’igiene, che però all’epoca non riscuoteva molto successo. L’espediente della bellezza, quindi presentare il prodotto come uno strumento per accrescere le capacità seduttive di una persona, è la trovata vincente che gli farà guadagnare più soldi di tutta la sua carriera, dato che ha l’intuizione di diventare azionista della stessa Pepsodent.

Quando la pubblicità vende.

Sua peculiarità è il credere fortemente nella pubblicità diretta, la vendita per corrispondenza tanto per capirci. Genere allora, come oggi, bistrattato dalle agenzie perché difficile e poco “creativo”. Secondo Hopkins questa forma di pubblicità è l’unica che permette di avere un riscontro immediato e netto della propria efficacia. E rappresenta in un certo qual modo l’essenza dell’hard sellingla massima resa col minimo sforzo. Quindi deve essere chiara, concisa sintetica, l’illustrazione stessa deve avere un valore di vendita e non sono ammessi orpelli di alcun genere.
In pratica il padre della pubblicità è anche il “nonno delle newsletter”.

Scientific Advertising.

[socialring]Visti i successi ottenuti, Hopkins decide di scrivere la sua guida della pubblicità moderna. Nel 1923 pubblica “Scientific Advertising”, nel quale enuncia le sue leggi e regole per una pubblicità efficace.
Secondo Hopkins “la pubblicità esiste solo per vendere qualcosa”, quindi deve creare profitto. L’approccio è “scientifico” perché lo scopo della sua opera è comprendere le leggi generali che regolano il funzionamento della pubblicità per evitare errori, quindi inutili sprechi di denaro.
Ecco i principi, le leggi “scientifiche”, che possono essere ancora attuali:

  • “Gli uomini sono più avvicinabili dalle società”, il pubblico apprezza le società che si mostrano con un volto personale, quindi mostra le persone;
  • Lascia che sia il prodotto a parlare, convinci le persone a provarlo e, se è all’altezza della promessa, il resto verrà da sé;
  • Non cercare mai di divertire. Questo non è lo scopo della pubblicità. mmmmmmmmmmmmmmmm non so se sono tanto d’accordo.
  • Non offrire gratis il prodotto che vuoi vendere, altrimenti per il consumatore non varrà nulla (da qui probabilmente l’idea dei “campioncini”: gratuiti sì, ma in formato ridotto);
  • “Non vendere in salita”, non cercare acquirenti nuovi per il tuo prodotto ma vendi a chi utilizza o ha già utilizzato prodotti simili,
  • Prova, prova, prova “I test sono importanti e ci aiutano a capire i nostri clienti. La buona vendita si basa su buoni test.”
  • Il pubblicitario è un venditore: “la pubblicità è semplicemente persuasione su stampa”. E poi “Un copywriter non deve mai dimenticare che egli è un semplice venditore, e più si vende meglio prospererà”.
  • Il testo lungo è buon testo. Se quello che dici è importante per il tuo lettore, ti leggerà. “Il testo lungo può vendere, fintanto che è utile al cliente”.
  • Contano i dati non le banalità. Se ci fidassimo della pubblicità, tutte le aziende sarebbero le migliori. Scrivere “siamo i migliori” è solo uno spreco di spazio e non significa nulla per il lettore. 

Dite che dà più luce di altre lampade e nessuno s’impressionerà. Dite che dà 3 ½ volte la luce delle lampade di carbonio e la gente si renderà conto che avete fatto paragoni reali. E accetteranno le vostre affermazioni.

Claude C. Hopkins

  • Metti fretta alle persone. Se offri un coupon o presenti un’offerta speciale, limitala nel tempo. Eviterà che i consumatori rimandino la decisione.
  • Niente orpelli “la scrittura brillante non ha posto in pubblicità. Uno stile troppo sofisticato porta via l’attenzione da quello di cui state parlando”. E rincara pure la dose “Stai vendendo il prodotto, non te stesso. Non fare nulla per offuscare il tuo obiettivo “;

Per concludere.

“La pubblicità è abilità nella vendita. I successi ed i fallimenti in entrambi i casi sono dovuti alle medesime cause. Così ad ogni domanda della pubblicità bisognerebbe rispondere con i criteri di un venditore […] Ma quando uno cerca di fare l’esibizionista o fa delle cose semplicemente per piacere a se stesso è poco probabile che colpisca una corda che induca la gente a spendere denaro”

Claude C. Hopkins

 

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Maurizio Mercurio

Diventare copywriter: le lezioni di Maurizio Mercurio

Secondo capitolo del mio personale percorso da copywriter.

Nella vita capita di essere al posto giusto al momento giusto“. Anzi riformulo: “nella vita capita di aver culo“. E’ più o meno quello che ho pensato ormai parecchi anni fa, quando al mio quarto anno di università ho incontrato Maurizio Mercurio, strategic planner in pensione con una carriera nelle più grandi agenzie dell’epoca (Pirella Göttsche, TBWA, Young&Rubicam giusto per fare qualche nome), dall’altra parte della cattedra. E sottolineo “culo”, perché quando mi iscrissi all’università, lui non era tra i docenti.

Un quasi copywriter a lezione di strategia

Ed eccomi lì, aspirante creativo pubblicitario a lezione di prodotto, marketing mix, persuasione, emozione, processo d’acquisto, comunicazione, pubblicità, marca, posizionamento e, soprattutto, strategie.

Inutile riportare tutte le lezioni, gli aneddoti, gli insegnamenti trasmessi nei mesi in aula e negli anni fuori dall’aula in cui ho avuto la fortuna di assorbire ogni goccia di mestiere che trasudava un uomo laureato nel ’71 in “mercatologia” (all’epoca non si chiamava “marketing”) e che aveva vissuto la sua carriera a costruire, smontare e rimontare marche. Un vero e proprio imprinting, che negli anni ha lasciato il segno, condizionandomi non poco e facendomi, spesso, sentire più vicine le esigenze strategiche rispetto alle velleità creative. Dicevo “inutile riportarle tutte“, non basterebbe un intero blog e se fosse un libro conterebbe più 489 pagine, quelle del suo “Strategie di comunicazione. Il vantaggio della differenza”.
Quindi mi concentrerò su un solo aspetto, come mi ha insegnato proprio lui, il più distintivo.

maurizio mercurio

L’energia della differenza

Per Mercurio la distinzione dei ruoli è chiara: la strategia (frutto del marketing dell’azienda e/o del reparto planning dell’agenzia) si occupa del “cosa dire” mentre la creatività si occupa del “come dirlo”, è un lavoro di squadra, in cui tutta la squadra deve spingere dalla stessa parte.

Lanciare un prodotto nuovo, rivitalizzarne uno già sul mercato, ringiovanire una marca stanca, mantenere i volumi di fronte a un innalzamento di prezzo, qualunque sia l’obiettivo della pubblicità perché abbia impatto su memoria, conoscenza qualificata, consumo e fedeltà, la pubblicità deve essere capace di far emergere differenze.

“Le differenze sono energia vitale per il successo.
Le differenze sono la chiave per forzare il sistema, sfidare e portare la marca al successo”.

Il “cosa dire” deve essere frutto di vision intelligenti in grado di incuriosire il target, di indurre azioni e produrre reazioni e, soprattutto, di caratterizzare la marca in modo differente dai concorrenti.

“L’obiettivo è trovare, con una diversità stimolante, leve efficaci, in grado di scardinare la difesa dei concorrenti e l’indifferenza del consumatore”.

Ok, ma quando queste differenze-leva non ci sono sulla carta, ovvero nel prodotto, quando niente lo distingue dagli altri, quando manca una USP (unique selling proposition, ovvero un benefit per il consumatore, così forte da spingerlo all’acquisto, che nessun concorrente può offrire e su cui si deve concentrare la pubblicità) cosa si fa?
Per Mercurio, non ci sono dubbi, “se la ragione non dà spazio a differenze, bisogna cercarle – mi permetto di aggiungere “o crearle” – nell’emozione“. Nel modo di relazionarsi al consumatore, nel modo di raccontare i benefit (gli stessi dei competitors) e i valori di marca. Entriamo così nell’area del trattamento creativo.
A questo punto – musica per le mie orecchie – compito di chi è deputato al decidere “cosa dire” è eliminare i vincoli inutili, per quanto rassicuranti, per permettere alla marca di evolversi e riscoprirsi attraverso nuovi modi di “come dirlo”.

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Niklas Luhmann

Diventare copywriter: la lezione di Luhmann

1° capitolo del mio personale percorso da copywriter.

Se non ti viene in mente nessuna campagna di Niklas Luhmann, né nessuna delle sue headline, non ti preoccupare. Luhmann non è un pubblicitario, tantomeno un copywriter, e gli unici titoli che lo hanno reso famoso sono quelli dei suoi libri: Die Gesellschaft der GesellschaftDie Realität der Massenmedien e Theorie der Gesellschaft oder Sozialtechnologie. Was leistet die Systemforschung? ecc.

Luhmann (1927 – 1998) è stato un sociologo tedesco ed è tutt’oggi considerato il principale esponente della Teoria dei sistemi sociali. Se a questo punto nella tua testa suona una domanda tipo “ma allora perché me ne stai parlando a proposito di copywriting?!“, al di là del mio scortese “il blog è mio e ci scrivo quello che mi pare“, contestualizzo la mia scelta e ti informo che nel mio personalissimo percorso per diventare copywriter la sua analisi della pubblicità studiata su La realtà dei mass media e spiegatami da una sua ex assistente, al secolo mia docente, è stato il mio passo verso le tecniche pubblicitarie.

la realta dei mass media Niklas Luhmann

La pubblicità come forma di comunicazione improbabile

Nella sua analisi, l’autore inizia fermandosi a riflettere sull’improbabilità della pubblicità in sé per sé. L’intento manipolatorio, che definisce il peccato originale dei mass media, solitamente celato negli altri ambiti (informazione e intrattenimento) qui è esplicitato e riconoscibile (“messaggio promozionale”) e questo dovrebbe portare al rifiuto della comunicazione stessa, visto che nessuno vuole essere manipolato.

La manipolazione esplicitata

Eppure, nonostante la sua strada sia in salita, si spendono sempre più soldi (il libro è stato scritto nel 1996) per la pubblicità e questa incide sempre di più sul prezzo del prodotto. Quindi, secondo l’autore, per quanto improbabile, la pubblicità funziona.
Ma come riesce a raggiungere i suoi obiettivi la pubblicità? Come riesce modificare la percezione dello spettatore/consumatore pur dichiarando allo stesso che questo è il suo obiettivo?
Per Luhmann la risposta è in quelle che definisce tecniche di opacizzazione. E studiarle, per me, è stato il primo modo di capire come funziona la pubblicità e di intuire come scriverla.

Opacizzazione e tecniche della manipolazione di massa

Per il sociologo i principali mezzi usati dalla pubblicità per raggiungere il suo scopo sono:

  • Il rapporto tra breve tempo e drasticità, che serve a impegnare l’attenzione cosciente solo a breve termine, evitare una riflessione critica e portare a una decisione immeditata. In termini di copywriting i vari “acquista ora“, “chiama subito“, “ordina adesso” ecc. in gergo definiti call-to-action e hurry up che sul web assumono spesso la forma di bottoni lampeggianti e che in uno spot, vedi quello dell’assicurazione Dialogo Fondiaria Sai, possono arrivare a enunciare un numero verde e poi chiedere allo spettatore “te lo sei segnato?
  • Il ricorso alle belle forme, che servono a rendere irriconoscibili le motivazioni, quindi la finalità manipolatoria. La pubblicità usa le belle forme in modo differente rispetto a come fa l’arte, anche se vi ricorre – a mani basse – come serbatoio di idee e belle forme, appunto. In termini di copywriting le belle forme si traducono nella poesia di un titolo (anche quando non si tratta di una citazione), nell’armonia delle parole e nella musicalità del testo, si tratti di uno speaker profondo che lega tra loro le immagini di un montaggio o di manifesto, web o stampato, da leggere tutto d’un fiato.
  • L’uso paradossale del linguaggio rietra tra queste tecniche. Luhmann ci fa osservare come la pubblicità utilizzi spesso l’espressione “esclusivo” per indicare un prodotto reperibile sul mercato di massa o come altrettanto spesso le offerte ci propongano di “risparmiare comprando”. In termini di copywriting, al di là di questi esempi, la tecnica si traduce nell’utilizzo di forme retoriche paradossali come l’ossimoro nella campagna “La7. Esclusivamente per tutti.
  • L’oggetto della pubblicità poi può giocare un ruolo apparentemente secondario, può restare sullo sfondo, o essere rivelato alla fine o può essere completamente celato. In termini di copywriting questo significa raccontare qualcos’altro rispetto al prodotto. Ad esempio ritrarre in modo aspirazionale il target, la sua attitudine (come la creatività delle Heads full of stuff per Freddy), i suoi sentimenti, i suoi bisogni e suoi sogni.

A ogni modo, per quanto persuasorie, queste tecniche lasciano i consumatori liberi di scegliere se comprare o no. Per Luhmann, vista l’improbabilità di questa forma di comunicazione, già il fatto che questi si pongano il problema se “comprare o no” è un successo per la pubblicità.

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